“Iuto!! Un vemme!!” urla Giovi battendo nella terra rivoltata i suoi piedini impauriti, mentre mima il battito d’ali di un colibrì con gli arti superiori.
Sono saliti sulla collina di corsa, lui e Michi, che c’era il cielo azzurro e l’aria gelida e ancora luce nel parco davanti all’asilo oggi pomeriggio. A caccia di lombrichi. Con due bastoni nodosi e rinsecchiti in mano, da usare per zappare. Si sono fermati in un punto a metà costa, con la terra moddiba e odorosa di campagna bagnata e hanno iniziato a scavare, con i bastoni, con le mani, con un sasso, hanno tolto ciuffi d’erba con le radici attaccate, hanno trovato gusci minuscoli di lumachine ibernate, si sono tolti i guanti e le mani gli sono diventate rosse mentre il sole scendeva dietro i palazzi più in là, hanno piantato semi immaginari, raccolto insalata selvatica, impastato palle di terra, le hanno messe in fila e poi le hanno spinte giù dalla collina per vedere se arrivavano al lago. Michi mi ha fatto indovinare la forma di un sasso. Gli ho detto nell’ordine che era: una barca a vela, l’orecchio di un gatto, il tetto di una casa norvegese, un dente di squalo, il naso di una strega, una fetta di torta al cioccolato. E lui ogni volta mi rispondeva tranquillo, continuando a scavare “Pensaci bene mamma, dai che indovini” e quando ha intuito che la mia fantasia era agli sgoccioli mi è venuto in aiuto dicendo: “Gualda i lati, uno, due, tle, tli-lan-glo-lo, capito? È una fomma..”. Si sono trasformati da contadini in pirati e hanno seppellito nel buco dove fino a un minuto prima piantavano carote una manciata di centesimi di euro, e domani andiamo a vedere se il tesoro c’è ancora. Ogni tanto, all’improvviso, mentre scavava, Giovi si impanicava per un fantomatico vemme mai manifestatosi davvero, mentre Michi gli spiegava serafico che i lombrichi non fanno paura perché sono come noi solo che vivono sotto la terra, ma hanno anche loro i genitori, dei lettini per dormire, vanno in un asilo fatto di terra e stanno sotto la terra per ripararsi dal freddo perché non riescono ad infilarsi né guanti né cappello. Sempre concentratissimi si sono sporcati di erba e di fango i pantaloni (perché si scava meglio in ginocchio), mi hanno riempito le tasche del cappotto di palle di terra, hanno detto che stava venendo buio, mi hanno dato in custodia una foglia gigante e il tappo di plastica di una bottiglietta d’acqua e sono corsi giù dalla collina, lasciando le zappe nodose e rinsecchite di fianco al tesoro, che “domani torniamo vero mamma? Però prendi gli stivaletti che i contadini veri li usano sempre!”
È passata un’ora così, senza che nessuno salisse su quella collina verde punteggiata da moquette di foglie gialle. Nemmeno un lombrico.
colonna sonora: Microcosmos, Bruno Coulais