Avevo sentito parlare di borgo Vione come della prima gated community italiana, un posto esclusivo, chiuso da cancelli, con telecamere sul muro di cinta, vigilanza armata e sensori elettronici antintrusione.
Ne avevano scritto, un paio di anni fa, sia Repubblica che il Corriere della Sera e i racconti di quella comunità di super ricchi ossessionata dalla sicurezza e completamente chiusa verso l’esterno mi aveva proprio incuriosito.
Qualche giorno fa sono quindi salita a Basiglio, piccolo comune a 15 chilometri dal centro di Milano, immerso nel parco agricolo sud per andare a vedere di persona questo borgo fortificato risalente all’anno Mille, magnificamente ristrutturato e ripopolato da famiglie di manager con elevate disponibilità economiche, che hanno preso il posto dei monaci cistercensi che lo avevano colonizzato nel 1300 e dei braccianti che a fine Ottocento lavoravano nelle risaie della zona e ci si erano trasferiti a vivere.
Incredibilmente – mi assicura il residence manager, un romagnolo appassionato di basket che da qui in poi chiamerò Claudio Bisio per l’evidente somiglianza con il comico milanese – ho trovato il cancello aperto, ancora più incredibilmente nessun vigilantes mi ha chiesto l’autorizzazione a entrare e nessun allarme è scattato e così ho varcato la soglia di Vione indisturbata, nell’indifferenza più totale del giardiniere che stava potando le rose e della signora delle pulizie che spazzava il lastricato di pietra dietro la casa dei fabbri. Per un quarto d’ora circa, un po’ tesa non lo nascondo, per il timore di essere colta in flagrante, ho passeggiato per il borgo, sbirciando dietro le siepi dei giardini, guardando dentro le vetrate delle case, salutando chi incrociavo; mi sono seduta sulle panchine della piazzetta, ho annusato le essenze nel giardino dei semplici, ho attraversato il ponticello sopra la roggia trasformata in piscina, ho ascoltato la musica che usciva dalla chiesetta, mi sono appuntata i nomi degli edifici e poi sono tornata all’ingresso, dove ho trovato, in portineria, Bisio che mi aspettava e che incredibilmente non mi aveva visto entrare.
Oggi a Vione abitano circa 35 famiglie e tra qualche mese il borgo sarà pronto a accoglierne altre 22; neanche la metà di quelle che potrà ospitare una volta che tutti gli edifici saranno ristrutturati. Quando La Repubblica e Il Corriere hanno fatto i loro reportage, di famiglie in questa vecchia grangia ce ne vivevano solo un paio e parlare di “gated communty” o “comunità chiusa da cancelli” suonava un po’ ridicolo. Anche perché, da quello che ho sperimentato direttamente, il sistema antintrusione qualche falla ce l’ha. E poi Vione non è così inespugnabile come qualcuno vorrebbe far credere: di fianco all’ingresso principale, in una stalla recuperata è stato ricavato un ristorante aperto al pubblico, il vecchio mulino è stato trasformato in biblioteca comunale multimediale, davanti c’è un parco pubblico con un’area giochi per i bambini e durante i tre giorni della festa patronale di Basiglio i cancelli sono sempre aperti.
Dei residenti attuali il 40% è composto da famiglie straniere, in genere le mogli e i figli dei manager di multinazionali, il cui contratto di lavoro comprende, oltre a una super retribuzione, anche la casa. Mentre chiacchiero con Bisio, mi passano di fianco una famiglia peruviana, una ragazza inglese con una bimba nel passeggino, un signore australiano che torna verso casa spingendo un carrello di plastica rossa, ma scopro dalla mia guida che ci sono anche belgi, messicani, portoghesi, spagnoli, russi, tutti in Italia di passaggio e a Vione in affitto. Gil italiani che vivono nel borgo invece la casa se la sono comprata, perché “se uno qui ci entra, difficilmente vorrà tornare ad abitare fuori”. Spinti da un forte bisogno di sicurezza e dalla voglia di vivere in una dimensione comunitaria come quella dei paesi di una volta, gli abitanti di Vione mi vengono descritti come gente aperta, che vive il borgo insieme alle altre famiglie, organizzando aperitivi nella piazzetta dietro la chiesa, feste di compleanno sotto il porticato comune, gente che si ritrova nella piscina ricavata nella vecchia roggia che portava l’acqua al mulino o nel giardino dei semplici, rigoglioso come all’epoca dei monaci cistercensi.
L’architettura stessa del borgo, recintato tutto intorno e articolato all’interno in stradine, cortili, piazzette e giardini, insieme al fatto che non vi possono entrare automobili, sembrano facilitare gli incontri, stimolare la socializzazione, creare occasioni di vita comune. Molto grazie ai bambini, che, come un tempo, sono il perno intorno al quale si costruiscono nuove relazioni, molto anche grazie agli spazi comuni che sono stati pian piano inseriti nel borgo: l’area barbecue, quella con i giochi per i più piccoli, il portico con biliardino e ping pong, il deposito per le biciclette, la piscina e gli spazi verdi, e, al chiuso, una sala in cui chiacchierare o guardare un film, il giardino d’inverno, la palestra e l’area welness, la lavanderia con lavatrici e asciugatrici condominiali e il salone dove si organizzano feste e mostre.
Oltre agli spazi comuni, gli abitanti di Vione hanno a disposizione anche una serie di servizi collettivi, compresi nelle spese condominiali che ammontano a 20 euro al metro quadro all’anno, molto inferiori a quelle della vicina Milano 3, ma anche di molti condomini tradizionali: non solo manutenzione del verde e pulizia degli spazi comuni – che richiedono una squadra di cinque manutentori – ma c’è anche il wi-fi libero, un deposito con scaffalature e frigorifero dove viene stivata la spesa che gli abitanti si possono far consegnare a domicilio tutte le mattine dal forno e minimarket di Basiglio, un portiere sempre a disposizione, vending machine da usare quando il ristorante è chiuso, la colonnina per ricaricare le auto elettriche; perché “le famiglie di Vione hanno bisogno di tanti comfort e si aspettano una qualità della vita diversa da quella di chi abita in città”, mi dice Claudio Bisio.
Tutto questo spinge gli abitanti a uscire dalla propria casa e a vivere nel borgo, “inseguendo un’idea – continua Bisio – di famiglia allargata”, secondo la quale alle feste di compleanno si invitano tutti i bambini della comunità e le sere d’estate ci si ritrova a chiacchierare con i vicini sulle sdraio davanti a casa. E mentre da Milano il fine settimana la gente scappa, a Vione arrivano gli amici proprio il sabato e la domenica e il borgo si riempie.
Qui in maniera spontanea le famiglie hanno organizzato una rete informale di mutuo aiuto, ad esempio supportandosi a vicenda negli spostamenti, o, in situazioni di emergenza, aiutando chi è in difficoltà, come quando due ragazzine sono rimaste a casa da sole un mese mentre la mamma era in ospedale e il papà all’estero e i vicini si sono attivati per portare loro la spesa, accompagnarle a scuola, invitarle a cena. Con whatsapp come tecnologia facilitante per attivare esperienze di sharing, in una logica di community che trascende Vione e sta trasformando le nostre abitudini relazionali.
La comunità fortificata di Vione si sente protetta dalle telecamere sparse dappertutto (solo nell’ufficio di Bisio ci sono ventuno schermi che trasmettono le immagini in diretta del borgo) e dalle mura di cinta, i genitori lasciano scorazzare i bambini liberamente e le porte delle case sono sempre aperte, in un ambiente dove, accanto al recupero storico si è puntato anche sul recupero di un modo di vivere del passato, ancorato a quell’idea di autosufficienza sulla quale i monaci cistercensi avevano costruito il loro modello abitativo. Di allora, oggi rimangono i nomi degli edifici – la casa dei falegnami, la corte degli orti, il cascinetto del lavatorio, il cortiletto dell’arsenale, la casa dei carpentieri, il portico della ghiacciaia – ma al posto dei monaci qui vivono manager sempre in giro per il mondo, che lasciano nel borgo le loro famiglie, in una sorta di limbo sospeso tra un sogno arcadico e la tangenziale sud di Milano. Il rischio, soprattutto per i bambini, che quando non sono dentro le mura sono portati da una navetta nella vicina scuola americana, è di vivere come in una di quelle palle di vetro con dentro le casette e la neve finta, senza però saperlo. La speranza è che il vetro non si rompa mai e che The Truman Show non finisca mai.
D’altra parte lascio Vione con il dubbio che qualcosa di più profondo abbia contagiato queste famiglie, e che il loro modo di abitare sia realmente più comunitario rispetto a quello di tante esperienze di social housing in cui la disponibilità a impegnarsi per costruire una comunità di residenti non è naturale ma viene fatta sottoscrivere in un contratto ufficiale da chi promuove l’intervento. Per fugarlo, questo dubbio, devo parlare con i residenti, ma questa è un’altra puntata della storia.
colonna sonora: The Show Must Go On, Queen