Dopo averli usati una volta, mette i fazzoletti di carta in una scatola da scarpe che tiene in fondo al letto. In fondo al letto ci tiene anche una valigetta rossa – che era la mia cartella delle elementari – dalla quale tutte le sere prende il pigiama che aveva infilato lì, ben piegato, la mattina.
Si è costruito un carrettino di cartone, a cui ha attaccato una corda per trascinarselo dietro in giro per casa; dentro ci tiene l’indispensabile: pezzi di legno, cartoncini di vari spessori, fili di lana, pietre e cose così. Non ha paura del buio e riesce a togliersi i denti che gli dondolano da solo.
È Quello-di-mezzo, il figlio più imprevedibile che mi sia capitato.
Da piccolo aveva un amico che si chiamava Bembo, col quale parlava per ore, telefonandogli con un sasso trovato in spiaggia e trasformato da un pennarello indelebile in mano al Mongi-daddy in un resistentissimo cellulare. Nessuno, a parte Quello-di-mezzo, ha mai visto Bembo, e neanche sua sorella Dindi o il suo amico Luca Bolori, ma per noi Pitton questi personaggi sono diventati “gente di famiglia”, a forza di sentirne parlare. Poi è successo che probabilmente a Quello-di-mezzo, intanto che cresceva, è venuto il dubbio che Bembo e la sua gang fossero solo figure immaginarie, e allora non ne voleva più tanto parlare, e un giorno, quando gli ho chiesto come stava Bembo, che era da un po’ che non avevo sue notizie, mi ha detto che Bembo era morto. E anche Dindi, e anche Luca Bolori. Una tragedia collettiva insomma. E da allora non se ne è più parlato. Perché Quello-di-mezzo è così, senza toni di grigio, con una testa bionda di capelli da bimbo della preistoria, gli occhi grandi come nei cartoni giapponesi e i sentimenti esagerati, nel bene e nel male. È capace di trasformare in schiaffo un inizio di carezza, ma anche di fare il contrario, quando meno te lo aspetti. Ti parla con il tono asciutto e lo sguardo profondo, come uno di quei respiri di montagna quando l’aria è troppo fredda, che scendono nella trachea ancora innoqui e poi esplodono nei polmoni all’improvviso, da farti mancare il fiato, mentre ti porti una mano al petto. È difficile prevedere le sue mosse, è imprevedibile anche a se stesso, lo guida un’energia che neanche lui sa ancora controllare del tutto.
Sa di essere originale, ma non vuole farlo vedere. Nel suo intimo penso sia convinto di essere una specie di supereroe, ma cerca in tutti i modi di nasconderlo, perché essere diversi a volte complica la vita. Alla scuola dei piccoli, per quella sua energia esplosiva, si era fatto la fama di “indomabile Mongi boy”, guardato a distanza dagli altri genitori. Lui, dentro quell’immagine, ci è rimasto intrappolato, in apnea a cercare di uscire da quel mare di sguardi in burrasca. È stato così tanto sott’acqua che non ha avuto abbastanza energia per crescere ed è rimasto piccolo di statura. Poi per gioco ha iniziato a ballare e ballando è venuto a galla: quando balla si muove come se il suo corpo fosse un pennello che dipinge sott’acqua, anche se adesso da quell’acqua pesante è uscito. Quelle pennellate lunghe, fluide e leggere, si vede che gli hanno allungato le articolazioni perché è pure cresciuto dieci centimetri. Nonostante questo exploit, mentre dal cancello lo guardo entrare a scuola vedo solo la sua testa bionda in alto e i polpacci sotto, tutto il resto nascosto dietro la cartella troppo grande per lui. È piccolo fuori e grande dentro, Quello-di-mezzo. Per le sue proporzioni da piccolo, mentre lo cambiavo sul fasciatoio, lo chiamavo Cubetto e lui rideva. Poi ha iniziato a sfrecciare a quattro zampe per casa e non si è più fermato: il movimento ha tolto massa al suo lato orizzontale ed ora assomiglia molto di più a una Molla scattante che a un placido Cubetto.
Ha il cuore grande, protetto da una corazza spessa e da una selvatichezza felina innata. Sa essere così felpato che a volte te lo ritrovi in braccio senza riuscire a spiegarti da dove è sbucato. Altre volte la sua presenza è così palpabile che ti schiaccia, perché anche nella fisicità è estremo. Non è per i convenevoli, non conosce la mediazione, la gradualità non gli appartiene. Gli piace l’odore di benzina di certi motorini truccati, quello di cloro che ti pizzica le narici quando entri in piscina e ieri ha definito “profumo” la puzza di plastica bruciata della guarnizione della moka che avevo messo sul fuoco senza acqua.
Difficile essergli indifferente, impossibile che lui lo sia agli altri, Quello-di-mezzo è così, e continua a strabordare dappertutto anche mentre scrivo di lui: scappa dalla penna, esce fuori dal foglio, si stende sul tavolo, si nasconde tra le dita delle mani, mi illumina gli occhi, mi ingarbuglia i pensieri, estremizza anche me, Quello-di-mezzo. E a me mi piace.
colonna sonora: Il ballo di San Vito, Vinicio Capossela
Nota: Quello-di-mezzo tra le altre cose è anche: La festa dei maghi, Luca Bolori, Cinque, Il polonio