La lavanderia è uno degli spazi comuni su cui si discute di più nei cohousing: noi di Irughegia le abbiamo dedicato più tempo che ad ogni altra cosa e ancora non abbiamo trovato un accordo. Ricordo una sera una discussione infinita sulle abitudini di lavaggio&stendaggio di ogni famiglia e la sensazione di impotenza di fronte alle resistenze a condividere il magico oblò. “Toccatemi tutto, ma non la lavatrice”, avremmo potuto intitolare quella serata, che ha messo a dura prova la compattezza del gruppo, più di molte altre decisioni.
In generale quasi tutti i progetti di cohousing la prevedono ma in realtà pochi abitanti decidono di fare a meno della lavatrice in casa. D’altra parte la lavatrice è stata una tappa decisiva dell’emancipazione femminile e oggi nessuno tra quelli che l’hanno provata ne farebbe più a meno. Anche gli ambientalisti più integralisti, quelli più attenti ai consumi energetici, che non usano né l’automobile né la lavastoviglie, hanno la lavatrice, come ci insegna Hans Rosling in questa magistrale lezione.
E quindi, mentre tutti sono pronti a sostenere l’utilità di una lavanderia comune, pochi sono quelli disposti a uscire di casa con il cesto della biancheria sporca, andare nella lavanderia comune, caricare una delle lavatrici a disposizione con la propria roba, tornare in casa e un paio d’ore dopo ritornare fuori a stendere. Il risultato di questo pensiero è che la lavanderia comune è uno spazio molto diffuso nei cohousing (8 progetti su 10 la prevedono) ma spesso sottoutilizzato (poco più di 2 famiglie su 10 non hanno una lavatrice in casa e usano solo la lavanderia comune.
Se ben progettata, in termini di spazio e di localizzazione, la lavanderia diventa, subito dopo la cucina, il posto più frequentato in un cohousing, oltre che può trasformare un’attività quotidiana noiosa in un momento piacevole di socializzazione, recuperando la parte bella, di chiacchiere e confidenze, delle donne che, fino agli anni Sessanta, in Italia si ritrovavano a lavare i panni al fiume in campagna o al lavatoio comunale in città.
Per funzionare, per prima cosa la lavanderia comune deve essere sufficientemente grande da contenere le macchine necessarie a soddisfare le esigenze delle famiglie (una lavatrice ogni quattro famiglie sembra essere un rapporto equilibrato), oltre a essere organizzata per stendere i maniera efficiente (e magari anche per stirare in compagnia); poi deve essere vicino ad altri spazi comuni usati di frequente, ad esempio la sala giochi per i bambini, in modo da combinare più attività insieme; e ancora deve essere comoda da raggiungere da tutti gli appartamenti, senza dovere indossare giacca e capello in inverno o aprire l’ombrello se piove. Personalmente penso che per cohousing fino a 15 appartamenti bisognerebbe cercare di realizzare un unico spazio adibito a lavanderia, per rafforzare la funzione socializzante di questo ambiente e consentire le maggiori economie di scala possibili. Perché la lavanderia comune, oltre al suo potenziale relazionale, permette di risparmiare soldi (se si decide di non comprare la lavatrice in casa), di diminuire i consumi energetici (ottimizzando i carichi comuni) e di recuperare spazio nei singoli appartamenti.
Spesso la sera, mentre mi trascino su per le scale del condominio con la cesta della roba sporca tra le braccia per andare in solaio dove è confinata la mia lavatrice, sogno un robot capace di gestire la lavanderia che avrò in comune con gli altri abitanti di Irughegia, di suddividere il bucato di ogni famiglia a seconda che si tratti di roba bianca, colorata o delicata, di programmare i lavaggi, di ottimizzare i carichi e di comunicarmi quando i miei vestiti saranno puliti e pronti per essere ritirati. Lavando-matic mi piacerebbe chiamarlo, e chissà che un giorno..
Nota: l’immagine è una fotografia di Carmelo Bongiorno intitolata Lavatrice.
colonna sonora: Music From A Dry Cleaner, Diego Stocco