Giusto un post fa dicevo che Luca (che non so quando potrò smettere di scriverlo, ma comunque in questo blog che un po’ racconta pezzi della mia vita, è sempre mio marito) lo zen abitualmente se lo mangia a colazione. Sicuramente né lo zen né qualsiasi altro esercizio di concentrazione meditativa li pratica mentre monta una tenda. Soprattutto se quella tenda non l’aveva mai vista (figurarsi montata) prima, se non avesse mai pensato che una tenda potesse pesare 30 chili, essere lunga 5 metri e mezzo e larga 6, avere due camere da letto (matrimoniali), un comodo ripostiglio e un’ampia living room, dove non doversi neanche ingobbire per non toccare il soffitto telato.
Chi lo conosce bene, quel Luca, mi aveva chiesto, in tempi non sospetti, qualche giorno prima che partissimo per l’avventura, di ricordarmi di fare un video (comprensivo di audio) con Luca in primo piano durante il montaggio. Beh, quando mi sono trovata lì, una giornata caldissima, col sole allo zenit, non un soffio di vento, i bambini stanchi e affamati, il market del campeggio chiuso, l’acqua dei bagni imbevibile come in ogni isola che si rispetti e Luca con una T-shirt nera così sudata da essere diventata quasi una seconda pelle, beh, non ho avuto il coraggio di tirare fuori il telefonino e filmare. La mia carriera di reporter d’assalto, d’altronde, non penso di essermela giocata lì, quasi mai anche in passato ho avuto la prontezza e il coraggio di documentare in diretta quello che stava succedendo, e nel caso in oggetto, le probabili conseguenze non promettevano niente di buono, facendomi optare per il silenzio stampa.
Un’ora e mezzo (“in due in una mezzoretta montate tutto”, mi aveva rassicurato Elena, sopravvalutando altamente le mie capacità di assemblaggio e sottovalutando enormemente i rischi della perdita – seppur temporanea – della ragione del mio consorte) di silenzio assoluto, facendo finta di non sentire il fiume di parole tanto impetuose quanto feroci che echeggiavano per il campeggio, di non capire che erano tutte rivolte a me, colpevole di una specie di indelebile peccato originale e di non vedere le facce nordiche tra il disgustato e l’incredulo dei per fortuna rari campeggiatori di passaggio nei pressi della nostra piazzola in quei momenti di furibonda ira verbale mista a allucinata disperazione facciale.
Il soggetto, dopo dieci anni di vita di coppia legalizzata, lo conosco bene. E so bene che una risata per sdrammatizzare o una parola per minimizzare avrebbero potuto rovinarci il seguito della vacanza o ancor più drammaticamente sgretolare un matrimonio (quasi) perfetto. È sempre stato così, mi alzavo sui pedali e partivo in fuga per scansare le sassate verbali che mi piovevano addosso, tutte le volte che partivamo per un viaggio in bicicletta, il primo giorno “tutto male”, dal secondo giorno in avanti “mai fatto niente di così bello e entusiasmante”. E così, saggiamente, sono stata zitta per un’ora e mezzo abbondante, a pensare che più che una mega tenda igloo a me sembrava una mini moschea bizantina e a guardare i nostri bambini, attentissimi lettori della situazione, che per quell’ora e mezzo abbondante hanno mangiato, bevuto, fatto pipì, giocato e dormito in completa autonomia, senza farsi sentire, a dispetto dei loro dieci anni scarsi in tre.
Nonostante tutto, quella notte abbiamo dormito in (quella) tenda, comodi e beati, rilassati e calmi come se nulla fosse mai accaduto. Come in una favola.
E nonostante tutto, in questo momento, e in ogni momento libero da quando siamo tornati alla civiltà, quel Luca di prima è su internet a confrontare diversi modelli di tende, studiarne le caratteristiche, valutarne le dimensioni, soppesare gli accessori, godere delle finiture. È caduto nella trappola, il nostro prossimo acquisto sarà sicuramente una tenda!
colonna sonora: La canzone del bosco, Punkreas