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Ieri sera sono stata con Chiara e Cosetta a Bologna ad uno swap party, che poi non è altro che un modo per rifarsi gratis un look glamour e firmato (almeno così te lo vendono). L’idea è quella antichissima del baratto, rivisitato in versione cool&fashion, dove la moda non si acquista ma si scambia, a suon di bottoni colorati, in un ambiente trendy, all’ora dell’aperitivo.
Con una borsa di vestiti a testa e un abbigliamento non proprio consono alla serata, abbiamo timidamente varcato la soglia dello show room di parquet che ospitava l’evento, nella prima periferia di Bologna, circondate da uno stuolo di aspiranti veline/letterine/controfigure delle Chiarlie’s Angels. Intanto nella mia testa si affollavano pensieri a me solitamente estranei: “dai Silvia, che stasera senza rossetto e eyeliner non vai da nessuna parte”, “ma perché non sono andata dalla parrucchiera, che ho una testa che sembra un piatto di spaghetti di soia appena saltati in padella al ristorante cinese Bambù”, “e non ho neanche fatto in tempo a farmi la doccia!”, “cavolacci, io che ho sempre pensato che tailleur e scarpa da ginnastica fossero trendy.. scopro stasera quanto possono essere trash, tra tacchi di ogni foggia e colore!”, “per non parlare dello zainetto nero Lowe Alpine da 25 litri.. quello davvero lo potevo lasciare in macchina!”.
Una fila di quasi sole donne, molte giovani e fashion addicted, si snodava attraverso il locale, in attesa di farsi valutare dalla giuria di esperte di moda i propri capi di abbigliamento, per poi scambiarli con altri di pari valore all’apertura dello swap shop. Come moneta di scambio bottoni colorati, un adattamento in versione moda delle fiches del casinò: i bottoni gialli per vestiti di basso valore, i fucsia per l’extra top, in mezzo bottoni verdi e blu.
Abbiamo cercato di confondere in mezzo a quella coda profumata e vaporosa il colore verdognolo della nostra pelle, tipico delle facce emiliane in inverno, e l’inesistente messa in piega, senza riuscire a levarci di dosso la scomoda sensazione di sentirci “pesci fuor d’acqua”. Per fortuna il clima si è presto sciolto, grazie all’open buffet davanti al quale anche le aristocratiche e eteree signore della moda “scendono – come si dice – dal pero” e iniziano a allargare i gomiti e a parlare con la bocca piena, con in mano un calice di vino bianco, in bocca un tramezzino di troppo e nello sguardo la concentrazione del gatto affamato che punta l’uccellino che cinguetta ignaro, concentrazione diabolica tutta rivolta al vassoio di voulevant ondeggiante sulla mano del cameriere in sala.
Man mano che ci avvicinavamo al banchetto della giuria, nonostante la buona dose di vino ingerita, cresceva in noi la “sindrome da esame di maturità”: sudorazione diffusa, voce tremolante, gambe molli, pancia in subbuglio, iper salivazione e difficoltà a deglutire, accelerazione del battito cardiaco, testa leggera. La paura che ci venisse rifiutato tutto quello che avevamo portato era palpabile, e terribili le facce disgustate delle giurate, nell’esaminare gonne e giacche che a me sembravano perfette. Anche perché la cosa più trendy che avevo portato era sicuramente la borsa di plastica marchiata Paul Smith nella quale avevo la notte prima infilato a casaccio camicie di Luca con colli immensi in stile anni Ottanta e maglioni intrisi di naftalina che non mettevo da anni. Tra questi un Ballantyne dalla fantasia improponibile, brutta anche per un pigiama, che però, grazie al nome, mi è valso un bottone verde da spendere allo swap shop. Terminato il lavoro della giuria, le porte di quell’improvvisato negozio senza moneta si sono aperte, e una folla indisciplinata di ragazze chiassose vi si è riversata dentro. Faticosissimo muoversi (figuratevi con lo zainetto Lowe Alpine da 25 litri in spalla..), difficilissimo arrivare agli abiti, quasi impossibile impossessarsi di quello che si sarebbe voluto. Non so dire quanto tempo siamo rimaste in quella sala larga e corta, troppo piccola per contenere anche solo la metà di noi, ma non direi più di mezz’ora, anche se la situazione era fuori dal tempo. È stata come un’invasione delle cavallette (a proposito di economia della condivisione o del mutuo soccorso..) e a noi novizie, prestate allo swapping per una sera, non sono rimaste che le briciole lasciate sul campo di battaglia dalle più esperte navigatrici di quel genere di party. Penso che non sarebbe stata un’impresa facile neanche per quella Sophie diventata famosa con I love shopping, perché un conto è lo shopping, un altro lo swapping.

A conti fatti, la serata è stata comunque anche per me fruttuosa (nel bottino una coppola di simil peluche Emporio Armani per mio marito, un vestito floreale firmato Pinko, un paio di jeans neri limited edition Dondup un po’ abbondanti e una gonna Le jean de Marithè Francois Girbaud conquistata grazie all’occhio lungo della mia amica ex-stilista-forever-trendy-mamma-fulltime Chiara). Quando mi sono infilata sotto le coperte, alle dieci e mezzo, nel silenzio della notte più profonda che regnava a quell’ora in casa mia, mi sono addormentata di botto, con il rimpianto di essermi lasciata scappare uno splendido chiodo rosa pallido e un trench verde brillante, ma anche con la consapevolezza che si può fare di meglio, e che uno swap party prima o poi sarebbe carino anche organizzarlo.

colonna sonora: Oh, Pretty Woman, Roy Orbison

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