In primavera impazzano i pollini, i germogli e gli ormoni.
Gli ormoni, ancora per qualche anno sono sotto controllo (ma tremo già al pensiero di quando i miei tre paciughini avranno 16, 14 e 12 anni, allora sì che saranno primavere intense!).
I pollini invece non li ferma nessuno, il paesaggio urbano è trasformato, nascosto sotto un mantello di lanugine piumosa, l’aria è invasa di allergeni floreali, Luca starnutisce a ripetizione e Michi ha spesso i suoi pugnetti negli occhi, per sfregarsi via il bruciore.
Anche i germogli non sembrano risentire troppo dell’inquinamento cittadino: dalle patate, dimenticate in una cassetta di legno in balcone, escono germogli ramificati ormai lunghi come il mio avambraccio; nei vasi ancora pieni della terra di due estati fa sono spuntate qua e là reminescenze verdi di radicchi che furono; si iniziano a schiudere le prime uova di zanzara dell’anno.
Il tormentone primaverile non conosce limiti. A casa Pitton, dopo Pappemen, è stata la volta di Batman e Robin (imperdibile la lotta in mare tra i due supereroi e i loro supercattivi avversari Pinguin, Joker e Catwoman a colpi di “beng” e di “bang” sonori e grafici, nella versione originale della serie tv del 1966, che tiene incollati allo schermo anche i miei poco televisivi pargoletti per i quali il fatto che i dialoghi siano in inglese sembra essere un particolare del tutto irrilevante), surclassati, almeno momentaneamente, dal gattobus, quella specie di autobus morbido e peloso dallo sguardo inconfondibile, il sorriso esagerato, la coda folta, una moltiplicazione di zampe, che attraversa velocissimo e invisibile ai più la campagna giapponese in quel piccolo capolavoro di fantasia che è Il mio vicino Totoro.
La primavera è anche la stagione della stanchezza atavica, il periodo di massime vendite di ricostituenti, complessi multivitaminci e pappa reale, tutti rimedi insufficienti se agli effetti narcolettici della primavera ci aggiungi gli effetti notturni dell’essere mamma di tre bambini in età prescolare, soggetti, a rotazione, a incubi terrificanti, ricorrenti intasamenti nasali, mal d’orecchie acuti, pipì di mezzanotte, pruriti ai piedi, freddo al naso, impellenti arsure, tossi metalliche (e fino a poco tempo fa infinite voglie di latte materno). Ho sempre così sonno che mi sento costantemente sotto l’effetto di una specie di droga speciale, capace di farmi vivere in uno strano limbo, magico e faticoso, tra sogno e realtà, mai pienamente sveglia ma mai neanche completamente addormentata, sempre con un occhio – da pesce lesso – mezzo aperto. In questi giorni penso molto a Irughegia, quella specie di simil cohousing per famiglie con bambini piccoli che fa sempre più parte della mia vita reale ma che è ancora solo un sogno. Ogni tanto mi sveglio di colpo con la paura che non si realizzerà mai; altre volte conto i giorni sicura che tra due anni saremo già a viverci; sempre so che è quello che voglio e che quindi, sogno o realtà, bisogna che si avveri.
NB: l’immagine è Giovane albero di Paul Klee (1932) nella libera interpretazione Davide, scuola dell’infanzia Simonazzi, Pasqua 2012.
colonna sonora: Grazing In The Grass, Hugh Masekela
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