In fondo a J.S. street, dove sono nata e cresciuta, quando ero già abbastanza grande per giocare in strada e abbastanza piccola per divertirmi a farlo (circa venticinque anni fa), in tarda primavera, al pomeriggio, dopo i compiti, giocavamo a tennis. Con mio fratello attaccavamo un estremo della rete da pesca a strascico del papà al cancello verde del nostro mini condominio e l’altro, con un moschettone, al cancello di fronte, dall’altro lato della strada. E giocavamo a tennis, di qua e di là da quella rete simil professionale, su un campo in puro asfalto di dimensioni quasi regolari, che J.S. street è sempre stata molto più larga della gran parte delle strade senza uscita di Modena.
Mi ricordo partite intense e combattute, urla di vittoria e epiche delusioni, mi ricordo sbucciature sull’asfalto, volée imprendibili e perfetti passanti lungolinea. Mi ricordo una fila di piccole boe arancioni a amplificare il net e impreziosire la rete e quell’odore indelebile di mare che ci girava intorno. Mi ricordo le racchette di legno, le palle sgonfie, l’espressione soddisfatta di mio padre, i nostri pantaloncini cortissimi e la sensazione di essere Gabriela Sabatini a Wimbledon.
Quei pomeriggi non succedeva quasi mai che dovessimo interrompere la partita per smontare al volo la rete e far passare qualcuno: J.S. street, soprattutto verso il fondo, era pochissimo battuta e anche quando avevamo provato a organizzare piccoli mercatini di giochi usati per finanziarci, le nostre entusiastiche aspirazioni commerciali erano state pesantemente frustrate dalla quasi totale assenza di passaggio di potenziali clienti: rari i pedoni, poche le biciclette, ancora meno le moto, mentre in auto passavano solo i residenti.
Adesso le cose sono molto cambiate, le persone sono invecchiate, molti hanno messo su la badante, i bambini sono molti meno di una volta e quelli che ci sono non giocano più in strada. La strada però è nuova, l’asfalto liscio, sotto ci scorre la banda larga, hanno piantato nuovi alberi, intorno ci hanno costruito delle vere aiuole, di fianco al cassonetto dell’immondizia c’è anche la campana del vetro, il contenitore per la carta, quello per la plastica e il bidoncino dell’organico. Il nostro cancello è ancora lì, lo hanno solo ridipinto di marrone, mentre quello di fronte non c’è più; e non ci sono più neanche le case popolari dove abitavano famiglie chiassose e sciabattanti che assistevano ai nostri match dalla finestra. Al loro posto tanto lussuose quanto anonime villettine in mattoncini faccia a vista, in perfetto stile American Beauty delimitate da cancellini automatici dietro ai quali parcheggiare macchinoni preferibilmente tedeschi.
I pedoni in J.S. street continuano a essere rari, ancora poche le biciclette che decidono di passare di lì per entrare in centro (anche perché attraversare Builders street, all’altezza di J.S. street senza semaforo e strisce pedonali, è ormai diventato una specie di roulette russa), mentre le moto che vi sfrecciano, per evitare un semaforo, sono in grande aumento, e così anche le auto, che in venticinque anni a Modena sono cresciute esponenzialmente.
In J.S. street adesso le auto fanno a gara per parcheggiare, tanto che, in certi orari, c’è la colonna di macchine in fila per un posto, strombazzamenti di automobilisti nervosi, ruote parcheggiate sulle aiuole, auto in doppia fila, sgasamenti di Suv oversize impantanati uno dietro l’altro in J.S. street, strada senza uscita larga per giocare a tennis ma stretta per far manovre con un maxi fuoristrada. Dalla finestra della cucina dei miei genitori guardo queste scene quotidiane e ripenso con struggente nostalgia alle mitiche partite di tennis di quando ero bambina, con la rete da pesca tirata da una parte all’altra della strada.
Mi chiedo se l’apertura del Novi Park (un parcheggio interrato da 1720 posti, aperto 24 ore su 24, a ridosso del centro storico che inaugura domani) e il nuovo modo di parcheggiare in città (che in soldoni vuol dire tante linee blu, anche in J.S. street) cambieranno qualcosa, e i miei figli, che dai nonni, in J.S. street, ci sono quasi tutti i giorni, potranno anche loro giocare a tennis, con quella rete da pesca a strascico tirata da una parte all’altra della strada, senza essere infastiditi da agguerriti cercatori di parcheggio.
Mi chiedo anche – ma lo dico solo tra me e me – se per ridurre le auto in città (e tutto quello che ne consegue, dall’inquinamento al traffico, dal sovrappeso agli incidenti, dai costi economici a quelli ambientali) i 40 milioni di euro spesi (o non incassati, a seconda dei punti di vista) per il Novi Park, potevano essere spesi diversamente. Ma non voglio fare polemica, e quindi me lo chiedo solo tra me e me, mentre continuo a pensare che a Modena, della macchina, si potrebbe proprio fare a meno.
colonna sonora: Bang Bang, Cher