La campagna romagnola è proprio bella, così piatta, così aperta e così antica. La nebbia gli aggiunge un non-so-che che la rende ancora più bella. Arriviamo a destinazione che il paesaggio è ancora sfuocato, come quando ti si appannano gli occhiali per il caldo, perché la nebbia è ancora bassa e diffusa. Siamo a San Martino in Villafranca, a pochi chilometri da Forlì, ma è già piena campagna. Scendiamo dalla Zafira equipaggiata con un severo navigatore tedesco, che puntualmente ci ha segnalato tutte le volte che stavamo superando i limiti di velocità. La tolleranza di questo aggeggio elettronico si è rivelata praticamente nulla, visto che Leda non è una col piede pesante, di quelle che quando guidano ti fanno provare emozioni forti, e bastava che facesse i 55 chilometri all’ora invece dei 50 previsti per far scattare la voce meccanica, che Cosetta non è riuscita a zittire in alcun modo, pur avendone provati tanti.
Fabrizio ci aspetta nel grande cortile dell’ex convento fascinosamente ristrutturato, dove abita con Simona e i loro bambini. E anche dove lavora, con Simona e altri amici architetti, che insieme condividono un approccio all’abitare sostenibile e sociale. Clusterize, il loro studio di progettazione, è stato ricavato nell’androne di accesso del convento, in uno spazio stretto e lungo, con i lati corti chiusi da porte vetrate, per mantenere quell’idea di passaggio aperto, che aveva originariamente. Le travi di legno sul soffitto sono quelle originali, lasciate grezze, il pavimento è in resina, alle pareti fotografie, articoli di giornale, fotocopie, schizzi, post-it. E tanti libri, che parlano di case, di recupero e di riuso, di arte, di ambiente, di responsabilità e di comunità, di sole, di vento e di terra, libri da sfogliare che fanno sognare.
Simona ha gli occhi grandi e i capelli neri, l’entusiasmo in faccia e un poncho colorato sulle spalle. Iniziamo a chiacchierare davanti ad un piattino verde pastello, interrotto dal nero fondente dei pezzetti di cioccolato che ci sono appoggiati sopra, e a cinque tazzine d’orzo, tutte diverse, tutte belle. Orzo e cioccolata sono sistemati su un vassoio di metallo rotondo, su un tavolo pieno e vuoto, ordinato e disordinato, come i tavoli degli architetti bravi. Le Case Franche è un co-housing r-urbano, 18 residenze eco-sostenibili e una co-house comune immerse nel verde, in un parco di campagna; è un progetto che nasce dal basso, con lo spirito collettivo nel Dna, è una comunità aperta all’esterno, è una risposta contemporanea a chi sceglie di vivere in campagna, è una soluzione a basso costo e ad alta sostenibilità . Le Case Franche sono state ideate da Simona e Fabrizio che hanno comprato un terreno di 15mila metri quadrati poco lontano dall’ex convento in cui vivono e hanno costruito lì sopra il loro sogno. L’attenzione al paesaggio (“la pista ciclabile che si snoda in mezzo alle Case Franche a un certo punto si sopraeleva, non tanto, un paio di metri, a ricordare i sentieri sugli argini, tanto diffusi da queste parti”; “a sud le case affacciano su un orto-giardino comune, attrezzato con tavoloni di legno di pero e barbecue), la simbiosi con la natura (“ogni appartamento ha all’esterno una pedana di legno, una sorta di penisola che unisce l’interno con l’esterno e che forma un continuo frammentato di piazzette di ritrovo”; “alcune finestre sembrano voler allungarsi verso il parco, e per questo hanno la forma bombata tipica delle bowindow olandesi”), la ricerca dell’autonomia energetica (ottenuta con costruzioni a secco, utilizzando la geotermia e il solare termico fotovoltaico, privilegiando materiali naturali e di recupero, tutte scelte che hanno contribuito a far vincere al progetto il premio speciale “sostenibilità ambientale, soluzioni bioecologiche e bioedilizie” al premio IQU Innovazione e Qualità Urbana) l’approccio evolutivo all’architettura, che li ha portati a studiare soluzioni abitative modulari variabili (sia in orizzontale che in verticale) e l’utilizzo parziale dell’autocostruzione per risparmiare tempo e denaro sono le caratteristiche che mi sono rimaste più impresse delle Case Franche, che a vederle dall’alto, sulle tavole di progetto aperte davanti a noi, sembrano una specie di bocca che ride al sole, con tanti denti bianchi immersi in un mare di verde).
Le Case Franche sono un’ idea concreta, pronta a partire: hanno la terra, gli accordi urbanistici con il Comune, hanno il progetto, i partner tecnici, i vecchi container marittimi che verranno convertiti in garage, hanno le idee e l’entusiasmo, la capacità di vedere lontano e di scegliere al plurale. Hanno tutto, o quasi. Gli mancano circa metà delle famiglie necessarie a far partire i lavori; mi sembra incredibile ma è così. Mentre me lo dicevano ho pensato istintivamente che poi forse un trasferimento a Forlì non sarebbe stata una follia.. Se non ci fosse Irughegia da far crescere. Perché noi le famiglie ce le abbiamo, cariche e motivate, ma ci mancano il terreno, l’accordo con il Comune, il progetto e tante altre cose. È il momento di rimboccarsi le maniche! Se non ora, quando?
Le Case Franche
27 gennaio 2012 di sittons
Non mi spiego perchè non ci siano le persone in fila per partecipare a progetti come Le Case Franche dove c’è condivisione, senso di comunità, entusiasmo da parte di chi le ha pensate, spazi verdi, rispetto per l’ambiente, bassi consumi. Non è nemmeno un progetto esclusivo per pochi eletti o per pochi che possono permettersi case di lusso molto costose.
Forse le persone hanno solo bisogno di familiarizzare con l’idea. Questione di tempo. Quando ne parlavo, anche solo un paio di anni fa, la parola cohousing era praticamente sconosciuta. Quando parlavo di condividere spazi, tempi, attività e servizi tra vicini e di costruire i contesti abitativi in modo da creare comunità, le persone mi guardavano un po’ come una sognatrice poco concreta e proiettata su altre latitudini. Forse adesso i tempi sono cambiati? Comunque sia siamo fortunatissimi noi di Irughegia a esserci trovati così in fretta e così numerosi. E forse possiamo fare da apri-pista per altri progetti simili: in pochi giorni ho già incontrato diverse persone che vorrebbero abitare in un cohousing.
Cosetta
colonna sonoara: Quello che non c’è, Afterhours
Ciao Irughegia
oggi è domenica e leggo un po’ il blog e penso che dobbiamo creare il nostro sogno, è ancora in fasce, deve crescere, modellarsi e farsi voler bene. A guardare quelli che ci sono già passati penso che sia meraviglioso, ma loro hanno fatto il loro percorso, noi siamo appena partiti e dobbiamo confezionare il vestito al nostro piccolo grande progetto.
Guardo i mie piccoli impegnati con gli Aristogatti e cresce la voglia di dare loro questa grande possibilità.
Francesca